"La storia perduta".Giuliano Volpe sulla chiusura del Museo dell'Altomedioevo di Roma

6/2/14 .- http://ilmanifesto.it/la-storia-perduta/

"La storia perduta"

Giuliano Volpe sulla chiusura del Museo dell'Altomedioevo di Roma

Chiude il museo del'Alto Medioevo di Roma, mentre si salva quello dedicato alla Civiltà Romana, grazie a fondi trovati in tutta fretta


Ormai non passa set­ti­mana che non giunga la tri­ste noti­zia della chiu­sura di un museo, di una biblio­teca, di un archi­vio. Decine sono i musei, pic­coli e grandi, nazio­nali e locali, a rischio in Ita­lia, ormai privi di risorse e di per­so­nale. È di que­sti giorni la tri­ste noti­zia rela­tiva ad una sto­rica isti­tu­zione di Roma: il museo dell’Alto Medioevo. Da anni a rischio di chiu­sura, è l’unico dedi­cato a un periodo (IV-XIV secolo) fino a pochi anni fa con­si­de­rato «buio». Un museo che espone una straor­di­na­ria col­le­zione di reperti e con­te­sti di gran­dis­simo inte­resse: basti pen­sare ai mera­vi­gliosi rive­sti­menti mar­mo­rei (opus sec­tile) di una ricca domus di Ostia, ai cor­redi delle necro­poli lon­go­barde di Nocera Umbra e Castel Tro­sino (VI-VII secolo), ai rilievi mar­mo­rei di alcune chiese di età caro­lin­gia (IX-X secolo), o alla pre­ziosa col­le­zione di tes­suti copti (III-X secolo).
Ebbene, fin dalla sua inau­gu­ra­zione nel 1967, que­sto spa­zio espo­si­tivo, come altre strut­ture del Mini­stero per i beni cul­tu­rali (il pre­i­sto­rico etno­gra­fico L. Pigo­rini, il museo delle arti e tra­di­zioni popo­lari, l’Archivio Cen­trale di Stato), è in affitto in edi­fici di pro­prietà dell’Eur SpA, società par­te­ci­pata dal Mini­stero dell’economia per il 90% e dal comune di Roma per il 10%, al quale in Mibact versa 11,5 milioni annui per canoni di loca­zione. Un assurdo para­dosso: lo Stato che paga allo Stato! Ora la man­naia della spen­ding review impone risparmi: e si comin­cia con il lo spa­zio dedi­cato al Medioevo, il cui canone annuo è di 370mila euro (circa il 3% del totale dei canoni pagati dal Mibact all’Eur). Un rispar­mio limi­tato se si con­si­dera non solo la spesa com­ples­siva, ma anche i costi neces­sari per il tra­sfe­ri­mento e il nuovo alle­sti­mento: basti pen­sare che il solo alle­sti­mento dell’aula dell’opus sec­tile nel 2006 ha com­por­tato il costo di circa un milione di euro. Rispar­miare è dove­roso, ma ancora una volta si rischia di pro­ce­dere senza un cri­te­rio e senza un pro­getto cul­tu­rale. Per­ché non si affronta defi­ni­ti­va­mente l’assurdo pro­blema delle loca­zioni pas­sive alle quali il Mibact destina ormai gran parte delle sue scarse risorse? Per­ché non chie­dere al mini­stero dell’economia il tra­sfe­ri­mento di que­sti immo­bili dell’Eur al Mibact? E per­ché affron­tare il pro­blema solo in maniera buro­cra­tica e ragio­nie­ri­stica e non nell’ambito di un pro­getto com­ples­sivo di rior­ga­niz­za­zione museale che, ad esem­pio, non pre­veda, in tempi ragio­ne­voli e con fondi ade­guati, una fusione tra il museo dell’Alto Medioevo e la Crypta Balbi?
I pro­blemi per i musei di Roma non sono finiti. Solo pochi giorni fa ave­vamo appreso con pre­oc­cu­pa­zione la noti­zia della chiu­sura del museo della Civiltà Romana, a causa di gravi pro­blemi rela­tivi al man­cato rispetto delle norme sull’igiene, la pre­ven­zione degli incendi e le bar­riere archi­tet­to­ni­che. Un sospiro di sol­lievo ha, for­tu­na­ta­mente, accolto poi il comu­ni­cato del Cam­pi­do­glio rela­tivo al repe­ri­mento delle risorse neces­sa­rie per i lavori di siste­ma­zione e ade­gua­mento dello sto­rico museo romano. Biso­gna dare atto al sin­daco Igna­zio Marino e all’assessore alla cul­tura Fla­via Barca di essersi atti­vati imme­dia­ta­mente, di aver sbloc­cato i fondi neces­sari e di aver avviato le pro­ce­dure per appal­tare i lavori, che riguar­de­ranno anche il famoso pla­stico di Roma impe­riale e le sale sto­ri­che, il Pla­ne­ta­rio e il museo astro­no­mico: l’intero edi­fi­cio sarà dun­que chiuso per il periodo neces­sa­rio al com­ple­ta­mento delle opere programmate.
È una chiu­sura prov­vi­so­ria che scon­giura il timore di quella defi­ni­tiva di uno dei luo­ghi più ori­gi­nali di Roma. Erede della Mostra Archeo­lo­gica del 1911, del museo dell’Impero Romano e della Mostra Augu­stea della Roma­nità, il «palazzo» della Civiltà Romana, aperto al pub­blico nel 1955, espone soprat­tutto ripro­du­zioni di sta­tue, iscri­zioni, parti di edi­fici, e pla­stici, tra cui quello straor­di­na­rio della Roma costan­ti­niana rea­liz­zato dall’architetto Italo Gismondi. Libe­rate dalla reto­rica pro­pa­gan­di­stica ori­gi­na­ria, le sale del museo con­sen­tono di cono­scere aspetti della vita di età romana, le arti, le scienze, i com­merci, l’esercito, la scuola, la vita dome­stica, l’alimentazione.
C’è da spe­rare, quindi, non solo che la chiu­sura di un museo sia scon­giu­rata e che la ria­per­tura dell’altro avvenga in tempi rapidi, ma anche che si colga l’occasione per ren­dere entrambe le isti­tu­zioni più effi­caci dal punto di vista didat­tico, magari dotan­dole di inno­va­tivi sus­sidi mul­ti­me­diali e ren­den­dole ancor di più luo­ghi di cre­scita cul­tu­rale, di pia­cere, diver­ti­mento ed emo­zioni. Spesso, infatti, visi­tando un museo il pub­blico si aggira in sale con­ce­pite in maniera eli­ta­ria, avver­tendo una sen­sa­zione di ina­de­gua­tezza, per­ché non com­prende com­piu­ta­mente il mes­sag­gio degli oggetti espo­sti. E quando si uti­liz­zano le tec­no­lo­gie, que­ste sono intese come stru­menti di spet­ta­co­la­riz­za­zione, invece di essere al ser­vi­zio di un pro­getto culturale.
Ma soprat­tutto c’è da spe­rare che si eviti di depau­pe­rare il patri­mo­nio museale romano e ita­liano. Biso­gnerà capire un giorno che quasi nes­sun museo al mondo è in grado di auto­so­ste­nersi e che sono neces­sari inve­sti­menti pub­blici ade­guati in que­sto set­tore. Quando si supe­rerà la logica delle gra­dua­to­rie d’importanza dei musei solo sulla base del numero di biglietti? O si com­pren­derà che le rica­dute che un museo, un archi­vio o una biblio­teca pos­sono avere sono diverse e ben più «remu­ne­ra­tive» rispetto a una malin­tesa e alquanto rozza visione mer­can­ti­li­stica del bene cul­tu­rale? E quando sapremo valu­tare ed anche quan­ti­fi­care i van­taggi di un museo in ter­mini di cre­scita cul­tu­rale, di miglio­ra­mento del benes­sere e della qua­lità della vita?

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