Riccardo Francovich. Un ricordo

2/4/07 .- http://archeologiamedievale.unisi.it

Abbiamo salutato Riccardo Francovich in palazzo Vecchio, a Firenze, dove la sua città natale gli ha voluto tributare l’addio che si riserva ai figli migliori. Lo ha sentito un poco figlio proprio anche Siena, dove Francovich ha impegnato un trentennio operosissimo, dopo essere approdato nel 1975 alla facoltà di Lettere, che era allora una neonata. Ed è solo per aver avuto professori come lui che è ritenuta, oggi, un centro di studi e di iniziative di primo piano in Italia.

Laureato in storia medievale all’Università di Firenze sotto la guida di uno studioso dello spessore di Elio Conti, era rimasto affascinato dalla capacità del maestro di dischiudergli i segreti che erano scritti nella storia e nella toponomastica del territorio fiorentino, al quale dedicò infatti la sua tesi di laurea. Sui castelli, un chiodo fisso, uno dei tanti, della sua ricerca, che lo ha portato a entrare più volte, in trent’anni, - e con la sua nota e costruttiva vis polemica - in una discussione storiografica di peso internazionale. Meno di una settimana fa, di fronte ad un gruppetto di studenti di storia medievale, aveva pagato il tributo di riconoscenza al professore della sua prima formazione di storico.

Si era poi scelto un secondo maestro in Andrea Carandini, insigne archeologo classico, che lo aveva aiutato a divenire uno degli “inventori” dell’archeologia medievale in Italia. La sua prima creatura fu la rivista “Archeologia Medievale” che rapidamente divenne un punto di riferimento per chi voleva sperimentare un modo diverso di guardare alla storia del Medioevo. Francovich non aveva ancora trent’anni.

In quelle prime, coraggiose, battute si intravedeva bene il delinearsi di una carriera di costruttore e ideatore. Difficile ricordare, adesso, così vicini alla sua tragica scomparsa, tutte le tappe di questa carriera. Riccardo che fonda riviste. Riccardo che per primo, con foga travolgente, si getta nella sfida dell’applicazione dell’informatica ai dati archeologici, avviando progetti che fanno, oggi, dell’archeologia senese un nuovo punto di riferimento a livello europeo. Riccardo che vuole che tutta l’archeologia medievale sia ‘messa in rete’ perché tutti possano ragionare sullo straordinario incremento di dati che il suo lavoro rende improvvisamente disponibili. Riccardo che propone nuovi modi di fare un museo, di parlare alla gente della sua storia. Riccardo che inventa un parco minerario. Riccardo che non rifiuta nessuna tecnologia, nessuna novità. Riccardo che fa l’archeologo e si sente uno storico. Riccardo che vuol rimette in discussione i modelli storiografici a partire dalla concretezza del ritrovamento. Riccardo che crea un Dottorato, che promuove un nuovo incontro con gli storici in una Scuola di dottorato. Riccardo che crea un corso di laurea per valorizzare il patrimonio archeologico della Toscana meridionale, a Grosseto. Riccardo che intesse, cocciuto, e con una pazienza che sembra insospettabile in un impetuoso come lui, l’eterno e complesso dialogo tra intellettuali e amministrazioni locali sul terreno della tutela e della valorizzazione, convincendo, comprendendo, imponendo, aiutando. Riccardo che a Siena lascia il suo segno indelebile negli scavi sotto la cattedrale, in quelli all’interno dell’ospedale di Santa Maria della Scala.

L’esplosività e la complessità della sua personalità si è manifestata anche così, con la curiosità che non lo ha fatto mai fermare e con l’arguzia che ha tenuto racchiusa negli occhi intelligentissimi. Quella curiosità, e un bisogno di conoscenza concreta dei contesti nei quali operare, gli ha fatto attraversare in lungo e in largo la Toscana in una rete di viaggi interminabili, fino a quella rupe vicino a Fiesole, dove ancora una volta cercava tracce e imbastiva difese del territorio storico.

Riccardo è stato un maestro, e molto paterno. Lo dimostra la grande schiera degli allievi che oggi lo piangono, che avvertono il morso del vuoto della scomparsa.

Riccardo è stato per molti dei docenti della facoltà di Lettere di Siena un collega qualche volta scomodo, mai scontato, sempre presente. Uno che riempiva gli spazi anche fisicamente, che attraversava a grandi passi i corridoi con la sua mole da cavallo un po’ goffo, sbattendo qua e là l’enorme borsa piena di carte, lasciandosi la scia di una pipa che qualche volta gli prendeva fuoco nella tasca della giacca, lanciando dentro le porte che incontrava sulla sua strada saluti coloriti e molto toscani. Un collega di quelli che si dice che hanno un ‘caratteraccio’, finché non si scopre in quale delicatissima piega sta nascosta la generosità, in compagnia di quale grande capacità di voler bene.

La medievistica e l'archeologia hanno perso un maestro, la cultura italiana un interprete sempre impegnato dei bisogni della valorizzazione del suo patrimonio, Siena un conoscitore della sua storia e un tenace interlocutore degli enti locali, gli allievi un maestro, alcuni di noi un immenso amico.

Si consenta a chi scrive, in questo momento di lutto, di inserire in chiusura del ricordo dello studioso anche un piccolo pezzo di sé. Perché un giorno questo fragoroso amico mi ha chiamato sorella. E io oggi piango un fratello.



Gabriella Piccinni

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